Qualcuno sostiene che, prima o poi, quello che siamo o quello che vogliamo davvero emerge, in un modo o nell’altro, anche se cerchiamo di tenerlo a bada, di ignorarlo o di travestirlo di compromessi. A volte serve un segnale. E a volte quel segnale arriva quando meno te lo aspetti, come meno te lo aspetti: sotto forma di pennuto sgraziato, anche. Un passo indietro.
C’è un prima e c’è un dopo nell’intervista a Ilaria Aina, detta “La Ila”, stella nostrana dell’amigurumi, l’arte giapponese di creare all’uncinetto piccoli pupazzi.
Il prima (titolo “Chi sei?”, premessa allo svolgimento: “Non mi piace parlare di me, non ne sono capace”) è scarno: 31 anni da compiere a giorni, di Gaglianico, maturità scientifica-tecnologica, l’iscrizione a Lingue e Letterature straniere e poi ad Architettura, il lavoro.
Ma è il dopo quello che conta, il “Cosa fai”: con lo sguardo che si illumina e le parole, prima trattenute, che si muovono veloci e leggere. Proprio come fanno i ferri tra le sue dita, porte d’ingresso a quello che sulla sua pagina Facebook lei definisce “il mio incasinatissimo angolo di mondo”.
“Ho sempre amato disegnare. Alle medie non avevo dubbi: avrei fatto l’artistico. Mio padre era entusiasta (lui è sempre stato il fan numero uno di me e di mia sorella). “Ma cosa fai dopo?” mi riportò alla realtà mia mamma, più pragmatica. Alla fine, scelsi lo scientifico-tecnologico: d’altronde a scuola ero brava, la matematica mi piaceva… Cinque anni alle superiori, un chiodo fisso in testa: “Finita la maturità, mi iscrivo all’Accademia: pazienza se non avrò le basi di chi ha fatto l’artistico, mi darò da fare il doppio e imparerò. E invece…”.
E invece, ancora quelle due voci: la passione o la razionalità. “Di nuovo: cosa farai dopo l’accademia? La disoccupata? E poi sarei dovuta andare a Milano, non conoscevo nessuno… ”. Ilaria si iscrive a Lingue e Letterature straniere (“Le materie erano bellissime, ma imparavo poco che mi potesse servire… E allora, tanto valeva fare quello che davvero amavo”), poi ad Architettura, un passo verso la creazione artistica.
“Invece di creativo c’era poco: al computer con Autocad i professori ci insegnavano a progettare case popolari con i materiali più economici, io sognavo di abbellire i muri con fiori e colori”.
La creatività ha una caratteristica: non sa stare buona in un angolo. Deve venir fuori. Mentre frequenta l’università Ilaria Aina continua a disegnare: lo testimoniano decine di quadri appesi alle pareti di casa, splendidi anche se “Non li ho mai fatti vedere in giro, perché è come se fossero il mio diario segreto e perché sì, mi fanno piacere se mi dicono che sono brava, ma insomma… Non sono una che va a cercare i complimenti in giro”. E poi si appassiona alle ball-jointed dolls, le bambole asiatiche in resina con gli arti snodabili e da personalizzare interamente – occhi, trucco, parrucche, accessori, tanto da iniziare a gestire un e-commerce con un’amica e da realizzare abiti e accessori. “Servivano un sacco di tempo e di soldi per realizzarli: il costo delle materie prime, la cura maniacale dei dettagli per cercare di raggiungere il livello degli artisti asiatici. Se anche li avessi messi in vendita, chi li avrebbe comprati, quando quelli cinesi erano ancora più belli a un quarto del prezzo? Io no, di sicuro”. Però le bambole iniziarono a muovere un ingranaggio, che ne mise in moto un altro, poi un altro ancora: tutti che portavano verso la stessa direzione.
“Il primo incontro con l’amigurumi è stato a Torino, a una fiera dove la mia amica e io esponevamo le ball-jointed dolls. Una ragazza passò dal nostro banchetto per portarci un paperottolo che aveva realizzato per noi: “Mmm, carino…” le dissi, pensando in realtà che fosse orribile (lo era, in effetti). Però iniziò a parlare della tecnica dell’amigurumi con così tanto entusiasmo che, non appena tornata a casa, “googlai” la parola trovando dei risultati meravigliosi. “Fico!” ho pensato. “Farò la pupazzara!” Il primo esperimento è stato un piccolo mostro: dallo schema sembrava semplice, “che ci vuole?”. E invece fu difficilissimo: io che già mi credevo un fenomeno, che avevo criticato tanto quel papero… “Non lo farò mai più!” mi ripetevo. Ma era colpa del filo: acrilico cinese di bassissima qualità. Ho cambiato materiale e mi si è aperto un mondo”.
Ed è così che, quattro anni fa, iniziano a prendere forma La Ila e il suo universo di babaci (“Credo di averne realizzati più di duemila, da allora”), come li chiama su Facebook. Da un paperottolo deforme, giorni interi in compagnia di ferri e fili e una serie tendente all’infinito di video e tutorial online.
“In tanti vedono i pupazzi all’uncinetto e mi chiedono: ti ha insegnato tua nonna? No: YouTube! Ore e ore di corsi, tutti in inglese, tanto che se mi chiedessero dei termini in italiano avrei difficoltà a spiegarli”.
Sarebbe dovuto partire un corso tutto suo, qualche tempo fa, ma poi non se n’è fatto nulla: “Ma è andata bene così, mi sono potuta dedicare alle creazioni per i mercatini”. Se sotto Natale siete passati da quello di Candelo, ad esempio, dovreste ricordarvi il suo. Non solo perché era nel punto più freddo del Ricetto (“Però alla terza data mi sono munita di stufetta”), ma soprattutto per i colori dalle mille sfumature e per le decine di berretti, sciarpe, guanti a forma di gufo e pupazzi, tutti diversi, realizzati con lana biellese e con acrilico turco, il massimo della qualità.
“I mercatini sono andati bene, nonostante la crisi, e ne sono felice. Penso che sia perché le mie sono creazioni uniche, che non si trovano ovunque. Ora magari spunteranno come funghi, perché la tecnica dell’amigurumi è semplice. Ma sono le idee che fanno la differenza. Le idee e il cuore”.
Ilaria Aina ha partecipato ai mercatini insieme agli altri creativi dell’Associazione Hobbisti Biellesi (da qualche mese fa parte del direttivo e, insieme alle altre giovani leve, ha portato entusiasmo e nuove idee per il futuro), ma il sogno è quello di trasformare la passione in lavoro e di aprire un negozio.
“Io la sosterrei subito, ha visto quanto è brava?” interviene papà Roberto, un magnifico mix di entusiasmo e anima commerciale. “Meno male che c’è lui, altrimenti ai mercatini passerei il tempo seduta dietro i miei pupazzi a sorridere imbarazzata” puntualizza Ilaria. Difficile, però, immaginarla così, senza nulla da fare. “In effetti non sono capace di stare ferma. Lavoro all’uncinetto e intanto ascolto le serie in inglese; mi fermo giusto per mangiare e, per staccare un po’, inizio un altro lavoro. E pensare che io mi annoio facilmente, ma con l’amigurumi è diverso: è il mio modo per rilassarmi. C’è chi fa yoga, io faccio babaci”.
Non l’ha fermata neanche la tendinite, lascito del superlavoro per i mercatini: impossibile usare i ferri? No problem: per la navetta del pizzo “chiacchierino” basta un dito; invece la creatività per personalizzare, con colori e suggestioni gotiche, una tecnica vecchia cent’anni, in Ilaria è un accessorio di serie.
È il tempo delle ultime foto: Ilaria prende da una vetrina una delle sue ball-jointed doll, lo splendido abito gotico che indossa è opera sua. “Qualche anno fa, io e la mia amica avevamo partecipato a un concorso internazionale lanciato dai produttori cinesi: bisognava fotografare le bambole e inventare una storia. Ah, tra l’altro avevamo vinto”. Lo dice così, en passant, con un tono che è un gradino più sotto di quello che qualcuno userebbe per vantarsi del terzo posto alla gara paesana di ravioli alla zucca. Nel mondo della Ila, quello che si dice e come lo si dice conta infinitamente meno di quello che si fa e di come lo si fa. Idee, cuore. Il segreto è tutto lì.
I prossimi banchetti di Ilaria Aina saranno il 1 marzo a Vercelli (NaturalVercelli) e il 30 marzo a Torino (Fiera del gusto e dell’artigianato). Per conoscere le prossime date, i suoi babaci e il suo coloratissimo mondo c’è la pagina Facebook La Ila – Arts & Crafts.